GOURMESANDO E BONVIVANDO CON LE CASUALITA E LA STORIA’
Piatto tipico della tradizione marinara genovese, LA FARINATA ha in realtà una diffusione importante un po’ su tutte le zone costiere del Mediterraneo. E’ conosciuta con nomi diversi, ad esempio Cecina a Pisa o Torta a Livorno, Socca a Nizza e Balécauda nell’Alessandrino, che ha fatto parte della Repubblica fino all’800. Si trova anche a Gibilterra, in Sicilia ma, soprattutto, in Corsica ed in Sardegna la cui modalità di preparazione è diventata parte integrante della cucina ligure. Infatti è in Sardegna che si preparava con l’aggiunta di alcuni ingredienti quali cipolline, pesciolini, carciofini tagliati fini e cosparsa di pepe, il cui nome in sardo è “fainé”, rispetto a “fainà” in lingua genovese.
Il piatto ha radici molto lontane, poiché sono arrivate a noi antiche ricette sia romane sia greche per la preparazione e la cottura di una poltiglia leguminosa, assomigliante più a quella che i genovesi chiamano “Panissa”, cioè una miscela di farina di ceci e di acqua che viene lasciata indurire e che poi si consuma con olio, sale, pepe e cipolle oppure si taglia a listarelle tipo patatine e si frigge.
A seconda della composizione di acqua e farina si ottiene una miscela più o meno densa che serve appunto o per la fainà, o per la panissa.
E qui viene in aiuto la leggenda che fa risalire la scoperta della farinata alla battaglia della Meloria. In una tempesta, le provviste di bordo, olio e ceci, furono rovesciate e contaminate da acqua di mare. La marineria dell’epoca non suggeriva di gettare via ciò che a bordo era commestibile in un modo o nell’altro, e se ne preparò una poltiglia di acqua, olio e ceci schiacciati che fu data ai marinai non troppo felici.
Alcuni la fecero riposare ed il giorno dopo la cucchero, cuossero, cuocettero, insomma la fecero in forno. Ed ecco che leggenda vuole che una delle più rinomate specialità culinarie liguri fosse frutto del caso. Ma non è l’unico esempio, se di caso parliamo. Anche il sigaro toscano, infatti, così vide la luce. Agli inizi dell’800 un carico di tabacco Kentucky, proveniente dagli USA in Toscana, rimase allo scoperto in un temporale.
Il tabacco fu fatto asciugare appeso foglia per foglia a corde tese per la bisogna, fra le ire dei proprietari del carico, dei ricevitori e la disperazioni delle assicurazioni. Nonchè fra le colorite espressioni dei portuali toscani. Immaginate. Potete.
Non si gettò niente, le foglie di tabacco, fermentate e riconciate un minimo, si confezionarono in sigari fatti a mano a basso costo, visto l’incidente. Ma ottennero il favore del mercato. E Ferdinando III, granduca di Toscana, nel 1818 fondò a Firenze una Manifattura Tabacchi per la produzione di sigari con Kentucky fermentato.
I sigari preferiti anche da Davidoff. Viva l’Italia.