Il GENOA E’
Sono nato una domenica mattina del 10 dicembre 1939. In casa, secondo l’usanza delle donne di quell’epoca d’anteguerra.
Tra pochi giorni compio ottant’anni. Da genoano. Felice di esserlo, metto subito le carte in tavola.
A mezzogiorno mi avevano già ben ripulito e alle tre del pomeriggio ero, virtualmente, alla Nord per assistere a Genoa – Inter.
Normale, direi. Mio nonno era genoano iscritto alla Societa’ di Ginnastica COLOMBO, avversaria della Società di Ginnastica Andrea Doria, ed era amico di Leale, Burlando e altri giocatori della leggenda genoana.
Mia madre manco a dirla era genoana anche lei, e mio padre nato a Portovenere da madre genovese e trapiantato a Genova, non poteva che essere genoano.
Quindi essere alla Nord quel pomeriggio contro l’Internazionale, era una conseguenza inevitabile delle premesse.
Poi è scoppiata la guerra e di calcio non se ne parlo’ per un po’.
Si ricomincio’ che avevo sei anni e volevo imparare a lavorare a maglia, per farmi una maglietta rossoblu.
A quei tempi soldi che non fossero neccessari per la sopravvivenza, ce n’erano ZERO, e quindi bisognava darsi da fare in qualche modo.
Genoana la famiglia, e genoana anche tutta la parentela. Tra i ricordi d’infanzia c’è una cugina di mia madre che mi recitava la filastrocca:
Siamo qui
Siamo noi
Siamo tre
Alarçon
Aballay
E Boye’.
Eravamo nel dopo Verdeal e di li’ a pochi anni sarebbe arrivato Abbadie, l’idolo della mia adolescenza.
Abbadie, Verdeal e Boye’, eroi del mio Genoa degli inizi, a distanza di una vita, col mondo cambiato due o tre volte, restano il punto di riferimento per giudicare i giocatori che nel presente arrivano a vestire la Gloriosa Casacca.
E’ stato negli anni di Abbadie che ho cominciato a frequentare i genoani della Rametta di De Ferrari, dove i meno giovani avevano visto il Genoa vincitore degli ultimi campionati e ci parlavano di De Vecchi, De Pra, Burlando… musica per le mie orecchie.
Se la mia famiglia ha gettato il seme, i genoani della Rametta, fieri, orgogliosi, indistruttibili nella loro passione rossoblu, mi hanno fatto diventare come loro.
Potrei andare in missione sulla Luna e restarci, che la mia passione rossoblu non cambierebbe di un millimetro.
Ci vedevamo tutti i pomeriggi dopo il lavoro e stavamo a parlare di Genoa fino all’ora di cena. Tutti i giorni di tutti gli anni. Invecchiavamo, ma non ce ne rendevano conto, perché il Genoa ci manteneva sempre giovani nella mente e nel cuore.
“La mer, la mer
Toujour recomencée…”
E il Genoa, che e’ anche poesia, come il mare di Paul Valéry, rinasce ogni volta che un centravanti batte il calcio d’inizio di una nuova partita. E’ la Leggenda che non può morire. Finché ci sarà calcio, ci sarà il Genoa. Farsene una ragione.
Da allora, tutto il resto scorre nella mia memoria come le “chiare, fresche e
dolci acque” del Petrarca, fino ad arrivare ad oggi.
Un fiume di ricordi ma non solo, anche di fraterne amicizie.
Quante emozioni vissute insieme alla Nord, quante trasferte, quante cene, quanti 7 settembre tutti insieme a festeggiare.
Tutto questo, giorno dopo giorno, anno dopo anni, ha consolidato amicizie profonde, lunghe come la vita passata insieme.
E tutti con lo stesso sogno:
la Stella sulla maglia accanto al Grifone.
Un sogno lungo intere generazioni, che lo trasmettono di padre in figlio e di madre in figlia.
Un sogno che non morirà mai, come la passione rossoblu.
Tutto questo non sembra normale in persone adulte,
ma è reale.
E la realtà vale più della normalità, frutto del pensiero umano, che stabilisce cosa si normale e cosa non lo sia.
La realtà invece non deve stabilire niente.
La realtà “e’ “.
Il Genoa ” e’ “
I genoani “sono”.
E chiusi i ludi.