Il Mercato ed i minimi comun denominatori
Siamo sempre li. Ci troviamo davanti alla più grande rovina del secolo perpetrata nel segreto più assoluto alle spalle degli italiani fin da fine anni 70 ad oggi, e solo ora abbiamo molti degli elementi per iniziare, e sottolineo la parola iniziare, a tirare le somme. Dal delitto Moro, all’essiccazione della stirpe italica fra i Papi, che con Papa Montini e Papa Luciani minacciava di fornire forti ostacoli alla sua realizzazione (e guarda caso tutto nel 78), dalle trame di Ciampi e Andreatta alla scomparsa di Federico Caffè e dei suoi allievi fedeli, esempio Ezio Tarantelli (Draghi lo è stato ma la sua capriola fu perpetrata a Caffè ancora caldo negli atenei, capriola che procurò una gran delusione al maestro), da Olaf Palme a Falcone e Borsellino e Tangentopoli, Milton Friedman e Von Hayeck hanno occupato ogni spazio, come l’acqua. Probabilmente furono stabilite diverse modalità per tempi diversi, fra cui la caduta del muro di Berlino, ed i Pinochet ed i Videla, pur pronti ad ogni eventualità, per il momento non erano più necessari.
Parleremo di ciò in un altro momento, ma oggi abbiamo sotto gli occhi alcuni esisti nefasti delle politiche stabilite altrove, implementate sul campo da oscuri e fedeli gargoyle travestiti da esperti e da politici.
Le privatizzazioni sono state il nodo scorsoio della nuova politica e Genova ha naturalmente fatto da laboratorio. Una grande città con quasi un milione di abitanti, con un’industria fortissima, nata privata e diventata pubblica, con una pletora di aziende satellite che formavano un indotto senza precedenti nella storia millenaria della ex Repubblica, ma anche con il sindacato più forte, con la base di una sinistra popolare più consolidata nel tempo, più attiva, più cosciente e più tenace del mondo oserei dire, doveva morire. Doveva farlo per prima. Se funzionava lì, inducendo con calma il veleno, avrebbe funzionato ovunque. Sono certi ex manager pubblici che conducono le danze. Guarda caso.
In dieci anni Genova ha perso circa 300 mila posti di lavoro e gli abitanti sono rapidamente scesi a 600 mila circa. Una spoliazione micidiale. Ma il resto d’Italia pensava ancora che a loro, invece, stava andando bene. Ed una “sinistra” fumo negli occhi clintoniana, blairiana, lontana dall’essere kennediana nella sua trasformazione da sinistra ad altra cosa, complice del sommovimento che pochi, veramente in pochi, hanno avuto il senso di intuire. E soprattutto di indicare apertamente in un periodo in cui venivano presi per visionari.
Sono gli anni dello smantellamento progressivo dell’IRI, sono gli anni delle concessioni capestro delle infrastrutture pubbliche che forniscono un servizio, sono gli anni dello smantellamento progressivo del welfare, dei diritti costituzionali, delle politiche che avevano condotto l’italia ad essere fra i primi paesi industrializzati al mondo, sono gli anni del mercato in piena filosofia Von Hayeck. Il resto non conta.
Ecco lo spettacolo che ci si presenta oggi ai nostri occhi, infrastrutture che crollano, tre volte negli ultimi due anni, un’ottantina di morti, altre che le foto dei servizi giornalistici mostrano decrepite, nonostante spariscano dai social con rapidità come le bislacche difese delle energie “assimilate” alle rinnovabili, con le strutture che perdono pezzi, acque che filtrano, strutture in metallo ormai fatiscenti con evidenti carenze ed insufficienze manutentive. E’ il mercato bellezza. Meno costi di manutenzione, che costa e tiene in vita evitando il “turnover” del prodotto e dunque del mercato, tariffe progressivamente più care e profitti crescenti. Per i servizi pubblici. Niente male.
E’ la stessa storia delle manutenzioni degli autobus nel trasporto pubblico locale. Manutenzioni sparite. Qualcuno ricorda l’Officina Guglielmetti in Val Bisagno? Gli autobus entravano decrepiti e uscivano nuovi e rigenerati. Affari a quattro ruote, ma per le finanze pubbliche. Fior di professionisti, dagli ingegneri agli specialisti dei motori, delle parti elettriche, delle carrozzerie, degli arredi interni e di falegnami per oltre 60 anni hanno rinnovato il parco mezzi, riducendo al minimo il ricorso all’acquisto di mezzi nuovi, che comunque venivano commissionati all’Ansaldo in maggioranza, e poi a tutta una serie di piccole aziende artigianali altamente specializzate, come la Mauri o la OM, finchè altre “case automobilistiche” hanno imposto la loro presenza.
Le ultime spazzate vie da tangentopoli.
Oggi il mezzo si rivende e i bandi di gara sono costruiti per favorire il mercato degli automezzi, con l’abbassamento progressivo dell’età del parco e, dunque, con l’acquisto a rotazione di mezzi nuovi. Che in un modo o nell’altro sono a carico dalla finanza pubblica. La manutenzione è ridotta al minimo, gli autobus prendono fuoco o vanno dritti nelle curve, e per ora solo una serie di miracoli ha evitato altre vittime del “mercato”.
E secondo voi, quante di queste politiche sono state implementate proprio qui a Genova, sempre come laboratorio di macelleria sociale e di mercato? Zero, una piccola parte o quasi interamente? E da chi? Pensateci un po’ e tenete per voi il risultato. Ma rifletteteci finalmente.
Oggi ci troviamo di fronte a ben tre rami autostradali che resteranno chiusi molto a lungo. E forse un quarto fra Genova Est e Nervi. Con tutte le ricadute che potete immaginare. E ricordatevi che si tratta di costi ambientali e sociali, che esistono e sono sempre esistiti, ma che nei business plan per le privatizzazioni scomparivano dai bilanci finanziari dei privati per transitare, non per scomparire, sui bilanci sociali dello Stato. Sempre costi sono. Cambia solo chi li paga. Profitti di la, costi di qua. Ormai è evidente. O no?
Fra le responsabilità che emergono a carico dei concessionari c’è interruzione di pubblico servizio. Eh si perchè di pubblico servizio si tratta. Un po’ come, a scarsità conclamata di manutenzione, improvvisamente e contemporaneamente tutti i bus non fossero utilizzabili.
E Genova al centro……ecco perchè parlare di Genoa è andare Oltre. Lasciamo pure che i politici recitino la loro parte conto terzi. Che si straccino le vesti, che minaccino, che strillino, che puntino le dita. Poi, con calma, andiamo a vedere chi finanzia le loro fondazioni e le loro campagne elettorali.